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Giuseppe Guzzetti: «Serve un nuovo modello di welfare»

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Welfare word cloud concept

Il welfare non è un lusso, o almeno non dovrebbe esserlo. Oggi invece i moderni sistemi di welfare, e quello italiano in primis, faticano a rispondere adeguatamente ai cambiamenti della società. Una frattura, se vogliamo uno scollamento dalle realtà sociali contemporanee, rende impossibile una reale comprensione di bisogni sempre più multiproblematici e complessi. Non bastasse questo, la crisi economico-finanziaria ha acuito la vulnerabilità delle fasce più deboli della popolazione, generando un impoverimento materiale e di prospettive: basta pensare alla difficile condizione dei bambini, dei giovani, delle donne e degli anziani.

Lectio Magistralis

Come meravigliarsi, dunque, dell’interesse suscitato dalla Lectio Magistralis tenuta da Giuseppe Guzzetti, presidente dell’associazione delle Fondazioni di origine bancaria, e della Fondazione Cariplo, dal titolo «Il Welfare di Comunità», organizzata a Roma da Federsanità ANCI in collaborazione con Ifel, Cittalia e Centro di Documentazione e Studi dei Comuni. Una Lectio Magistrali con la quale Guzzetti ha proposto con forza l’esigenza di una «riprogettazione del sistema italiano di welfare» quale impresa «sempre più necessaria».

Nuove esigenze

Rivedere il sistema, ha spiegato Guzzetti, non è un’esigenza solo di costo (stante la difficile situazione del bilancio pubblico del nostro Paese) ma soprattutto è necessario per «rendere il sistema italiano dei servizi sociali più capace di affrontare le nuove sfide che si presentano al paese, per tornare a pensare il welfare come un fattore propulsivo del nostro sistema economico e sociale e non come una “zavorra”, un ostacolo per lo sviluppo.

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Giuseppe Guzzetti

Un buon sistema di welfare, invece, favorisce la coesione sociale e questa è la precondizione per una crescita autentica e duratura. I termini della sfida sono ormai chiari. I rischi sociali a cui il sistema di welfare tentano di rispondere sono molto cambiati negli ultimi vent’anni: l’invecchiamento della popolazione, la caduta della natalità, la crescita (seppure ancora insufficiente) della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’impatto della globalizzazione sul mercato del lavoro, la forte immigrazione e altro ancora, sono tutti fattori che hanno contribuito a cambiare le condizioni di rischio sociale».

Welfare di comunità

Bisogna sperimentare nuove modalità di intervento che contribuiscano alla realizzazione di un “welfare di comunità”, un modello di politica sociale che garantisca maggiore soggettività e protagonismo alla società civile, aiutandola nella realizzazione di un percorso di auto- organizzazione e di autodeterminazione fondato sui valori comunitari della solidarietà, della coesione sociale e del bene comune. «Il tema del ripensamento del welfare – ha proseguito Guzzetti – è un tema molto caro alle Fondazioni di origine bancaria e a Fondazione Cariplo, in particolare. Dal 2004 infatti Fondazione Cariplo ha dato il via a un programma ambizioso che specificatamente per il per il welfare di comunità e l’innovazione sociale negli ultimi tre anni ha messo a disposizione 30 milioni di euro, con l’obiettivo di sostenere sistemi territoriali pubblico/privati che hanno lavorato su percorsi di riprogettazione e di adeguamento delle risposte ai bisogni della comunità. Tale approccio passa attraverso l’innovazione dei servizi, il ripensamento della spesa sociale attuale e la capacità di ricomporre risorse pubbliche e private, la mobilitazione della società civile che partecipa e investe sui valori della solidarietà, della reciprocità e del bene comune».

Il ruolo degli enti locali

I lavori sono stati coordinati da Lucio Alessio D’Ubaldo, Segretario Generale di Federsanità ANCI, che ha sottolineato come «la titolarità delle risposte ai bisogni sociali della popolazione e lo sviluppo dei servizi alla persona sono demandati agli enti locali primi interlocutori sul territorio. Bisogna partire da qui per favorire un rinnovamento del welfare locale che si realizzi attraverso l’innovazione di servizi, dei processi e dei modelli, potenziando i sistemi di governance territoriale. Proprio in relazione alla governante – ha detto D’Ubaldo – i sistemi territoriali, valorizzando ove possibile la programmazione territoriale già attivata, dovrebbero intraprendere azioni volte a realizzare nuove forme di alleanza pubblico/privato (profit e non profit), arricchendo il sistema di programmazione territoriale di attori “non convenzionali” del cosiddetto “secondo welfare” (aziende, associazioni di categoria, fondazioni private e di comunità, e così via) e riorientare l’utilizzo delle risorse, evitando dispersioni e sprechi».

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