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Alzheimer, la cura entro il 2025

Malattia di Alzheimer, un puzzle con tessere mancanti raffigura il volto di un anziano

L’Alzheimer è una delle malattie del millennio, un oblio senza fine con numeri da capogiro. Basti pensare che nel mondo colpisce circa 40 milioni di persone e solo in Italia si registrano 1 milione di casi. La stima per il prossimo futuro è di un raddoppio dei casi ogni 20 anni. L’altra faccia della medaglia per quel che riguarda l’aumento dell’aspettativa di vita. Ecco perché parlare di Alzheimer significa parlare di un problema molto concreto, un problema per il quale al momento non si può fare altro se non cercare di prevenire. La malattia di Alzheimer, è la più comune forma di demenza, una delle sfide sanitarie più grandi del nostro secolo. Una «priorità» come detto dai grandi della terra in occasione del G8. E anche se l’ambizione è di trovare una cura entro il 2025, la strada sembra ancora molto lunga. Intanto, in occasione della Giornata Mondiale della Malattia di Alzheimer (che si celebra oggi) è bene provare a fare almeno un po’ di corretta informazine.

Campanelli d’allarme

Nei pazienti affetti da Alzheimer le cellule cerebrali subiscono un processo degenerativo che le colpisce in maniera progressiva e che porta inizialmente a sintomi quali deficit di memoria, soprattutto per fatti recenti, e successivamente a disturbi del linguaggio, perdita di orientamento spaziale e temporale e progressiva perdita di autonomia che definiamo come «demenza». Non si deve pensare tuttavia a un esordio eclatante, la malattia nelle sue fasi iniziali si svela con piccoli campanelli d’allarme. La difficoltà a ricordare una parola o un fatto recente. A questi deficit si associano nel tempo problemi psicologici e comportamentali, come depressione, incontinenza emotiva, agitazione, vagabondaggio. Ed è  a questo punto che inizia il dramma anche per le famiglie che hanno bisogno, o meglio avrebbero bisogno, di un supporto costante.

Fare prevenzione

«Dopo il fallimento delle terapie attuate nella fase di demenza conclamata – spiega il professor Carlo Ferrarese, direttore scientifico del centro di neuroscienze di Milano, Università di Milano-Bicocca – le sperimentazioni cliniche attuali sono rivolte alla prevenzione della malattia. Questo è oggi possibile perché sono da poco disponibili nuove tecniche che permettono di determinare le alterazioni di una proteina ritenuta la prima causa di malattia, prima che questa si manifesti clinicamente. Da vari anni è noto infatti che alla base della malattia vi è l’accumulo progressivo nel cervello della proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose ed i loro collegamenti».

Nuove prospettive

Il futuro della cura sembra basarsi su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, con anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Questi anticorpi, prodotti in laboratorio e somministrati sottocute o endovena, sono in grado di penetrare in parte nel cervello e rimuovere la proteina, in parte di facilitare il passaggio della proteina dal cervello al sangue, con successiva eliminazione. Queste terapie sono attualmente in fase avanzata di sperimentazione in tutto il mondo, su migliaia di pazienti nelle fasi iniziali di malattia o addirittura in soggetti sani che hanno la positività dei marcatori biologici (PET o liquorali). La speranza è di modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio, dato che intervenire con tali molecole nella fase di demenza conclamata si è dimostrato inefficace.

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