Ricerca innovazione

Un corretto dosaggio di ossigeno migliora la sopravvivenza dei pazienti: lo studio realizzato a Modena

Un corretto dosaggio di ossigeno, stabilito in base al quadro clinico del paziente adulto, aumenta le sue probabilità di sopravvivenza. È questa la conclusione a cui è giunto il team di professionisti, guidati da Massimo Girardis, della Struttura Complessa di Terapia Intensiva del Policlinico di Modena. Lo studio, realizzato tra il 2010 e il 2012 con la collaborazione dell’equipe clinica medico-infermieristica della Terapia Intensiva e di centri di ricerca italiani e internazionali come Ancona, Roma e Londra, ha coinvolto 400 pazienti. È stato pubblicato nel numero di ottobre della prestigiosa rivista statunitense Jama (Journal of American Medical Association), ricevendo subito migliaia di visualizzazioni e collocandosi così tra gli studi più rilevanti pubblicati nell’ultimo anno.

Grazie a questa ricerca, unica nel suo genere, è stato istituito un protocollo con il giusto dosaggio di ossigeno per i pazienti adulti. Inoltre è stato evidenziato come, mediante somministrazione di O2 o nei degenti in terapia intensiva per più di 72 ore, la sopravvivenza sia del 45% più alta rispetto all’uso non regolamentato dell’ossigenoterapia. Il suo utilizzo riguarda un elevato numero di persone: come ha sottolineato Girardis, nelle linee guida internazionali è segnalato come primo intervento da adottare in caso di arresto cardiaco, di politrauma o di patologie neurologiche. Ma non solo: viene usato anche nei casi di condizioni meno critiche, come la polmonite o l’edema polmonare. Però, prima d’ora, non c’erano indicazioni in merito alle quantità o agli effetti collaterali nel caso non venisse somministrato in modo appropriato.

“I risultati dello studio” ha spiegato Girardis “dovranno essere confermati da studi successivi condotti in maniera multicentrica, ma la strada indicata e l’impatto della ricerca modenese sulla salute dei pazienti è molto rilevante.” Infatti, secondo quanto mostrato dai valori raccolti, se il protocollo venisse applicato nelle diverse terapie intensive d’Italia sui circa 100.000 pazienti ricoverati ogni anno, si potrebbero evitare ben 8000 morti.

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