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Chirurgia robotica, storia e futuro

cancro alla prostata Robot Da Vinci
Robot Da Vinci

La chirurgia robotica è una branca dell’ingegneria che sviluppa mezzi robotici in grado di eseguire interventi chirurgici in cui si manovra a distanza un robot non completamente autonomo. La storia della chirurgia robotica inizia nel 1985 negli Stati Uniti con la sperimentazione di “Puma 560”, una macchina estremamente sofisticata per il tempo che consentiva al chirurgo di operare con estrema precisione, tanto da essere usata per la prima volta per le biopsie cerebrali e, pochi anni più tardi, per interventi di resezione della prostata. L’azienda che la produceva però, nonostante i risultati incoraggianti, non proseguì la sperimentazione, considerando lo strumento ancora ad uno stato primordiale per l’uso medico. Dopo circa una quindicina di anni di sperimentazioni varie si è giunti ai robot “Da Vinci” e “Zeus”. Con quest’ultimo nel 2001 venne effettuato un intervento di colecistectomia a più di 50 km di distanza. Nel 2003 le aziende produttrici dei due robot si fusero e Zeus sparì dal mercato lasciando grandissimo sviluppo al Da Vinci. Attualmente viene utilizzato maggiormente per la rimozione della prostata, sostituzione della valvola cardiaca e nella chirurgia ginecologica; è attiva la sperimentazione per la rimozione del tumore del fegato e del pancreas, intervento molto delicato a causa del numero di vasi sanguigni coinvolti. L’utilizzo è consigliato per aree localizzate dell’addome e del torace. Gli interventi che necessitano di mobilità e maggiore manualità risultano particolarmente svantaggiosi per l’utilizzo della macchina. 

I vantaggi maggiori nell’utilizzo di Da Vinci sono:

  • Minori residui di cellule tumorali a rischio di recidiva
  • Degenza ospedaliera ridotta
  • Minor dolore postoperatorio 
  • Minor rischi d’infezione
  • Minor perdite ematiche
  • Cicatrici piccole
  • Miglior recupero funzionale

Il sempre più ampio utilizzo ha fatto però anche affiorare degli svantaggi, seppur limitati, come gli elevati costi e difficoltà tecniche (il chirurgo deve avere molta pratica, ma in Italia la maggior parte dei robot chirurgici effettua meno di 150 interventi l’anno), una maggiore possibilità di perdita della sensibilità tattile e della percezione della tensione con conseguente aumento del rischio di causare la rottura di organi e tessuti.  La previsione futura è comunque che nelle sale operatorie nei prossimi anni i robot chirurgici saranno sempre più frequenti soprattuto per quanto riguarda la chirurgia ad alto rischio, come ad esempio quella cerebrale. Di recente un team di ricerca dell’Università dello Utah ha perfezionato un robot in grado di ridurre di 50 volte la durata di un’operazione cerebrale: un intervento di perforazione craniale di due ore è stato ridotto a 2,5 minuti, grazie all’estrema precisone molto al di sopra di quella umana. Secondo i ricercatori la sicurezza del processo è massima. Se durante l’operazione viene rilevato un punto sensibile nelle vicinanze dell’area di manovra del robot ogni sua attività viene interrotta.

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