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Medicina a numero chiuso, quel test dettato dal Covid

Neanche il Covid è riuscito a fermare la carica degli aspiranti camici bianchi ai test di ammissione ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia. Nei giorni scorsi nella sola provincia di Napoli, dove l’esame è stato organizzato dalla Federico II e si è tenuto nel complesso di Monte Sant’Angelo (550 posti a disposizione), si sono presentati in 3954, tutti rigorosamente muniti di mascherina. A livello nazionale la selezione ha impegnato 66mila candidati, dei quali solo 13 mila avranno la soddisfazione di sedere ai banchi. Novità di quest’anno, per evitare assembramenti, la selezione è avvenuta con esami a livello provinciale e in un certo senso il test di ammissione a Medicina è stato considerato da molti come una prova generale in vista dell’inizio delle lezioni. Nulla è cambiato invece rispetto alle modalità del test, che si è svolto con 60 quesiti a risposta multipla da svolgere in 100 minuti: 12 di cultura generale, 10 di ragionamento logico, 18 di biologia, 12 di chimica, 8 di fisica e matematica. Ora l’attesa è tutta per il prossimo 29 settembre, quando saranno rese note le graduatorie e ci si preparerà alle lezioni in presenza. La sfida sarà ovviamente quella di riuscire ad organizzare la didattica in relazione a un dato oggi imprevedibile, vale a dire l’andamento della pandemia nel momento del temuto picco influenzale.

Covid a parte, la carica degli aspiranti medici ha riaperto anche quest’anno il dibattito sul numero chiuso. E le critiche non sono mancate. «Inaccettabile – ha detto Camilla Guarino, di Link coordinamento universitario – che venga fatta questa selezione per diventare medico, quando il nostro servizio sanitario nazionale è ancora in grave emergenza per carenza di organico con la pandemia ancora in corso. Le misure miopi intraprese durante il lockdown sono emblematiche: in varie regioni d’Italia sono stati chiamati in servizio medici in pensione, medici militari oppure anche medici neolaureati senza un’adeguata formazione. Siamo contro ogni barriera di accesso».

Sulla stessa linea Alessandro Personè, dell’esecutivo nazionale dell’Unione degli studenti: «È inaccettabile che uno studente in uscita dalle scuole superiori non possa scegliere liberamente il suo percorso di studi – ha spiegato – I test non valutano realmente la preparazione, ma vogliono selezionare e ridurre in numero i futuri studenti universitari». Posizioni legittime, ma non condivise da molti esperti in programmazione sanitaria, che ritengono invece necessaria una programmazione puntuale degli accessi in funzione di quelle che saranno le future esigenze del sistema.

Altro tasto dolente è quello delle scuole di specializzazione e dei contratti disponibili. Anche in questo caso da un lato c’è chi si lamenta di una professione che stenta a vedere soddisfatte le ambizioni legate a un percorso di studi veramente impegnativo, dall’altro chi lancia allarmi sulle carenze che si avranno nei prossimi anni. La verità? Come spesso accade è nel mezzo e non può essere compressa in generalizzazioni. Di certo, in Italia pesa sul sistema una cattiva distribuzione delle diverse specialità. Quindi, più che una carenza in senso generale, ci sarebbe da tracciare con maggior precisione le aree e i settori sui quali intervenire. Ad esempio, uno dei settori sui quali bisognerebbe intervenire è quello di della Medicina generale, che dovrebbe essere potenziata per garantire la gestione delle cronicità e un’assistenza di prossimità al paziente. Si potrebbe dire che il sistema sanitario italiano è stato per anni “ospedalocentrico”, concentrato nel formare più medici ospedalieri che medici di medicina generale.

Queste carenze sono state evidenti con il Covid, ma in realtà sono come braci che ardono sotto la cenere ormai da anni e la speranza che in molti nutrono è che questa pandemia possa aver spostato gli equilibri, precari, di questi anni spingendo i decision maker a una riflessione attenta. Al di là di ogni polemica, l’augurio che si può fare a chi ha deciso di investire la propria vita nella professione medica è quello di riuscire a gestire la grande responsabilità che ne deriva, perché se c’è un insegnamento che arriva dalla crisi di questi mesi è che la salute è il bene più prezioso. «Se investiamo in questi ragazzi – dice il presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia Federico II di Napoli Luigi Califano – se li formiamo al meglio e diamo loro possibilità di crescere, gettiamo le fondamenta di un futuro migliore per il nostro Paese».

 

Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione

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