Prevenzione

Quanto è in sicurezza la nostra salute (su internet)?

Social, un uomo cammina in un tunnel virtuale
Social e web, ecco chi influenza le nostre scelte di salute

In Europa i dati personali viaggiano nel 71 per cento dei casi su internet e quelli sulla salute nel 22 per cento. Tuttavia l’Italia si ferma al 52 per cento, ma in generale, gli accorgimenti per la sicurezza non sono sufficienti.

Insomma, oltre un quinto ha fornito dati relativi alla sua salute nel 2016. Eurostat ne ha valutato la sicurezza e lo ha fatto non solo per la salute, ma anche e soprattutto per le attività online che richiedono, ad esempio, l’inserimento dei dettagli della carta di credito, i dati personali o coordinate di posizione.

L’Italia è tra i Paesi che di meno hanno utilizzato la rete e si assesta al 52 per cento, contro la media Ue del 71 per cento. A fornire più facilmente informazioni personali in rete sono le fasce più giovani: più di tre quarti (78%) degli utenti di Internet ha dai 16 ai 24 anni e ha condiviso informazioni personali online, rispetto al 57% degli utenti di 65-74 anni.

C’è da dire che la rivoluzione digitale ha un rovescio della medaglia, se da un lato promette vantaggi tangibili nelle terapie e nell’assistenza, dall’altro però espone chiunque a rischi potenziali notevoli.
Oggi, i dati sanitari protetti sono oggetto d’attenzione dei cyber criminali e il 2016 è stato l’anno peggiore.

Sembrerà strano, eppure potrebbe capitare che i risultati degli esami del sangue, l’esito di una Tac, i farmaci prescritti, il referto di un intervento chirurgico o di una visita specialistica finiscano nelle mani dei “cyber ladri”. Negli Stati Uniti, il 26 per cento dei consumatori ha subito furti di informazioni mediche personali inserite nei sistemi informativi sanitari. Lo ha messo in luce uno studio su un campione di duemila intervistati, presentato dalla multinazionale Accenture al congresso annuale organizzato dall’associazione HiMSS (Healthcare Information and Management Systems Society) a Orlando. Metà delle vittime aveva dovuto pagare di tasca propria per ovviare all’incidente. L’identità rubata era stata utilizzata per comperare oggetti (37%), pagare prestazioni mediche (37%) o acquistare farmaci (26%).

Nella maggioranza dei casi, i cyber criminali vogliono soldi, quindi chiedono un riscatto. Oppure rivendono i dati al mercato nero del “deep web”. Il problema non è solo americano: nessuno è escluso dal mirino dei cyber criminali, come hanno sottolineato gli esperti di Clusit, Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, in occasione della presentazione del Rapporto Clusit 2017, giunto all’undicesima edizione.

Ma nel mirino degli hacker non ci sono solo i dati sanitari, ma anche i dispositivi medici controllabili da remoto attraverso la rete. Secondo il report Fortinet (che ha raccolto i dati di 450 fornitori di programmi di sicurezza informatica nel mondo) , nell’ultimo trimestre del 2016 ci sono stati più di 700mila attacchi al minuto contro le organizzazioni sanitarie. Gli esperti del FortiGuard Labs global threat research team hanno registrato l’intensificarsi degli attacchi soprattutto contro il cosiddetto “Internet delle cose” (IoT, Internet of things) cioè l’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti.

Tuttavia ci sono azioni semplici che può fare qualsiasi utente per mettersi al riparo il più possibile, come ad esempio modificare le impostazioni del browser per impedire o limitare la quantità di cookie sul computer/dispositivo, per utilizzare il software anti-tracciamento o per limitare l’accesso alle informazioni personali in linea.

Secondo Eurostat (dall’ultima rilevazione), tra gli Stati membri dell’Ue, la quota degli utenti di Internet che hanno cambiato le impostazioni del browser per prevenire o limitare la quantità di cookie è stato più alto in Lussemburgo (54%) e in Germania (49%), mentre la quota di coloro che hanno utilizzato il software anti-tracciamento  era il più alto in Estonia (31%).

Queste azioni erano più elevate per gli utenti di Internet più giovani di età compresa tra i 16 ei 24 anni rispetto ai soggetti anziani di età compresa tra i 65 ei 74 anni. Quasi il 40% degli utenti Internet più giovani ha limitato o impedito la quantità di cookie e il 19% ha utilizzato il software anti-tracciamento, rispetto a quasi un quarto degli utenti di Internet più anziani che hanno modificato l’impostazione del browser nei cookie (24%) e nel 14% tracciamento software.

La quota degli utenti di Internet di età compresa tra i 65 ei 74 anni dell’Ue che non hanno avuto problemi di sicurezza (80%) è leggermente superiore a quella degli utenti di Internet di età compresa tra i 16 ei 24 anni (72%). Tra i due gruppi di età, il problema più comune di sicurezza era l’eliminazione di un virus informatico o di un’altra infezione (24% dei giovani e il 16% degli utenti di Internet più anziani).

Per quanto riguarda le aziende, quasi tutte (98% dell’Ue) utilizzano computer e tra queste, solo il 32% dispone di una politica di sicurezza ICT formalmente definita. Per le grandi imprese , questa quota ha raggiunto il 72%, mentre è inferiore a un terzo per le PMI (31%).

Adottare una politica di sicurezza ICT significa che un’azienda è consapevole dei rischi a cui i propri sistemi ICT sono esposti. Questo consente una strategia per salvaguardare i dati e le infrastrutture, eppure solo 3 su 10 PMI dell’Ue adottato questo tipo di politica.

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