Aumentano le malattie oncologiche nelle zone più inquinate del Paese e sale l’incidenza tra i bambini. L’allarme è stato lanciato dagli epidemiologi in un convegno alla Camera dei Deputati. L’emergenza inquinamento e l’aumento del cancro sono due fattori correlati. La comunità scientifica lo fa presente da tempo.
L’acqua, la terra e l’aria inquinate hanno ricadute pesanti sulla salute e aumentano il rischio di sviluppare malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolare e malattie oncologiche. Ieri se ne è parlato durante il convegno “Emergenza cancro – fattori ambientali modificabili e stili di vita non corretti”, organizzato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) in collaborazione con Confassociazioni Ambiente.
I numeri
Già nel 2016 dai dati emergeva un incremento di malattie oncologiche associate alle zone inquinate che arrivava fino al 90% in soli 10 anni, in particolare per tumore alla mammella, alla tiroide e mesotelioma (legati all’esposizione a diossina, amianto, petrolio, policlorobifenili e mercurio). Il dato più allarmante riguarda i bambini. Uno studio condotto nel 2017 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha evidenziato una maggiore incidenza di tumori nei bambini tra 0 e 14 anni e negli adolescenti tra 15 e 19 anni nell’area europea che comprende Italia, Cipro, Malta, Croazia, Spagna e Portogallo. Il trend è confermato dall’ultimo rapporto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) dell’Istituto Superiore di Sanità che rileva un’“emergenza cancro” tra i più giovani, con un aumento medio del 9% dei tumori maligni infantili (soprattutto linfomi non-Hodgkin, sarcomi e leucemie) in 28 dei 45 siti italiani maggiormente inquinati.
Biomonitoraggio, Italia ancora indietro
Nel corso del convegno è emerso che il nostro Paese è ancora un po’ indietro per quanto riguarda il biomonitoraggio rispetto a Svezia, Finlandia, Francia, Olanda e diversi altri stati europei. A lanciare l’allarme, e chiedere alle istituzioni di mettersi in moto al più presto, è Marialuisa Lavitrano, direttore del Nodo Nazionale della Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari: “Il biomonitoraggio”, spiega Lavitrano, “rappresenta una grande sfida scientifica e di sanità pubblica, con risvolti significativi per la salute delle popolazioni esposte. L’idea alla base è semplice: raccogliere e analizzare campioni biologici per indagare i possibili danni causati, per esempio, dall’esposizione prolungata agli inquinanti ambientali, o per caratterizzare l’efficacia terapeutica di trattamenti oncologici”. Qualcosa in Italia si sta muovendo, ma è ancora troppo poco: “Il nostro Paese è stato tra i primi ad avviare un programma di biomonitoraggio, e attualmente abbiamo 90 biobanche su tutto il territorio nazionale. La pratica, però, non è stata portata avanti con sistematicità, e dunque i pochi programmi di biomonitoraggio sono ancora molto frammentati”.
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