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Revenge porn da oggi è reato: carcere fino a 6 anni

Revenge porn da oggi è reato: carcere fino a 6 anni

Per chi condivide materiale intimo senza il consenso della persona ripresa da oggi c’è il carcere. Il parlamento italiano ha avviato l’iter che porterà il nostro paese a dotarsi di una legge sul revenge porn. L’emendamento è stato approvato alla Camera e prevede che chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5000 a 15000 euro. Il simbolo di questa battaglia contro l’intimità violata e resa pubblica “gogna” è sicuramente Tiziana Cantone, arrivata a suicidarsi dopo l’ondata di fango che l’aveva travolta. Nemmeno la morte della trentunenne della provincia di Napoli mise fine alla violenza digitale e ci fu addirittura un’impennata della diffusione dei video, anche in forma di parodia. La madre Maria Teresa Giglio dal giorno del suicidio della figlia non ha mai smesso di lottare e ha fondato l’associazione ‘Tiziana Cantone per le altre’, anche per spingere le Istituzioni a legiferare in Italia una norma ad hoc come in tanti altri paesi. Oggi finalmente la legge c’è. Sono molto spesso gli ex, lasciati e non capaci di accettare la fine della relazione, a ricattare le donne. Proprio come è successo a Tiziana. Il revenge porn non risparmia nessuno, da minorenni spesso traditi dall’ingenuità a vip ricattati per denaro. Oggi l’ultima battaglia della mamma di Tiziana Cantone, dopo l’approvazione alla Camera dell’emendamento, è il diritto all’oblio.  Spesso infatti, nonostante diffide e denunce alle multinazionali che gestiscono le piattaforme social, i video restano in rete. L’obiettivo di Teresa Giglio è quello di restituire dignità e rispetto a Tiziana e aiutare tante altre vittime di questa violenza perpetrata sul web, come una nuova forma di ‘femminicidio'”. L’iniziativa del parlamento va a colmare un vuoto normativo che fino a questo momento poteva essere sanzionato solo attraverso l’applicazione delle norme sulla privacy o utilizzando il reato di diffamazione e affidandosi alla discrezionalità dei giudici. 

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