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Vaccini, perché i ritardi ci mettono in pericolo

Malati rari e vaccini

Ad un mese e un giorno dall’avvio della campagna vaccinale in Europa c’è un allarme che non può farci dormire sonni tranquilli. Il problema riguarda i ritardi sulla consegna dei vaccini e a mettere in guardia la politica è Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma. Andreoni, sentito dall’agenzia di stampa AdnKronos, dice senza mezzi termini che questi ritardi «possono mettere in difficoltà il sistema e farci correre dei rischi che non possiamo permetterci». Ma quali sono questi rischi? Il timore dell’esperto è che le immunizzazioni possano slittare oltre i 6-9 mesi, facendoci entrare in quello che definisce «uno scenario che ancora non conosciamo perché non sappiamo quanto dura l’immunità vaccinale. I primi vaccini sono stati fatti il 27 dicembre 2020, se non acceleriamo rischiamo di ritrovarci persone senza più immunità».

RISCHIO VARIANTI

Ad aumentare i rischi ci sono poi le varianti del Covid, che sempre più spesso fanno parlare per la loro capacità di diffondersi in maniera incontrollabile e, si teme, per il rischio che sfuggano all’efficacia dei vaccini. Se così fosse ci troveremmo davanti ad un problema veramente enorme. Ragione in più per spingere sull’acceleratore e cercare di somministrare quante più dosi possibile. Facile a dirsi, molto difficile a farsi. Ormai da più di una settimana le case farmaceutiche hanno iniziato infatti a tirare il freno a mano sulla consegna delle dosi all’Europa, mettendo a rischio i richiami e facendo di fatto slittare il  cronoprogramma dei governi.

SPERIMENTAZIONE

Intanto, qualche piccola buona notizia sembra arrivare da un vecchio farmaco orale usato contro la gotta, Andreoni spiega che questo farmaco «sembra essere promettente nella lotta contro Sars-CoV-2 soprattutto nei pazienti che si possono curare a casa». In Italia l’Aifa ha autorizzato la sperimentazione clinica della colchicina con uno studio multicentrico coordinato dall’Azienda ospedaliera di Perugia sotto l’egida della Società italiana di reumatologia (Sir), della Società italiana di malattie Infettive e tropicali (Simit) e dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri (Aipo). «E’ un trial clinico e abbiamo raggiunto il 50% degli arruolamenti, per i risultati occorre però ancora qualche mese», conclude Andreoni che è nel comitato scientifico dello studio. L’obiettivo dello studio pilota è valutare l’efficacia e la sicurezza della colchicina in pazienti affetti da Covid-19.

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