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Covid-19: paura più per i familiari che per se stessi. L’indagine

La paura per i familiari prevale su quella per se stessi. A preoccuparsi maggiormente sono le donne, rispetto agli uomini. In generale, la paura è meno presente tra i più istruiti e tra chi è in buona salute. Sono solo alcuni dei dati che emergono da uno studio pubblicato nei giorni scorsi: “Fear of Epicovid-19 for Individuals and Family Members: Indications from the National Cross-Sectional Study of the Epicovid19 Web-Based Survey a cura di un gruppo di ricercatrici e ricercatori di quattro istituti Cnr (Ifc-Pisa, Itb-Milano, In-Padova, Irib-Palermo) e dell’Ospedale Sacco-Università di Milano.

Paura di Covid-19, lo studio

Lo studio è stato realizzato analizzando i dati dell’indagine italiana Epicovid19, che ha raccolto 200mila questionari compilati via web da adulti durante la prima ondata della pandemia Covid-19, aprile-giugno 2020.

Lo studio ha indagato l’associazione della paura del contagio per sé stessi e per i membri della famiglia con il sesso, l’età di chi ha risposto, la scolarità, l’occupazione, e vari altri aspetti come il contatto con persone che hanno contratto il Covid-19, l’aver fatto un tampone nasofaringeo, la salute che le persone stesse dichiarano, malattie croniche e sintomi specifici ed essere stati precedentemente vaccinati per influenza o pneumococco.

Il timore per i familiari prevaleva sulla paura per sé stessi, ed era più alta tra le donne rispetto agli uomini, era meno presente tra i più istruiti e tra chi era in buona salute. Tra i vaccinati contro influenza o pneumococco, il 41% aveva paura per sé stesso, contro il 34% tra i non vaccinati: una indicazione che i rischi associati alla fragilità prevalevano rispetto alla protezione vaccinale.

Il dubbio di aver avuto contatti con persone sospettate infette e l’attesa di una risposta del tampone nasofaringeo risulta una fonte non trascurabile di preoccupazione. Paura che aumentava all’aumentare del numero di malattie, si rilevava infatti più alta tra le persone con malattie polmonari o renali, ipertensione, depressione e/o ansia. Erano più impaurite le persone con più sintomi, specie quelli riconosciuti come associati al Covid-19 come dolore al petto, disturbi olfattivi/di gusto e palpitazioni cardiache.

La paura in quel periodo era in proporzione più alta nelle regioni con meno contagi, specie quelle meridionali, e ciò fa pensare a quanto sia importante il contesto socio-economico-culturale.

Considerando il legame tra la paura e le condizioni di salute delle persone, e il significato protettivo della paura, che diventa assunzione di responsabilità personale e collettiva di fronte a un futuro incerto, gli autori ritengono che i risultati ottenuti da questo studio siano utili per mettere a punto messaggi adeguati e rispettosi delle persone e per assumere decisioni di salute pubblica condivise.

Una particolare cautela è raccomandata nella comunicazione sulla pandemia, per evitare di usare la paura come leva di emozioni irrazionali; vanno promossi invece strumenti che aumentino la comprensione, facilitino comportamenti riconosciuti come protettivi e decisioni razionali. Anche quando si deve gestire la paura, la comunicazione dovrebbe migliorare la fiducia tra le istituzioni e i cittadini, promuovendo il coinvolgimento e la collaborazione.

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