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Covid-19, biomarcatori “sesso-specifici” predicono esito malattia

Covid, biomarcatori predicono esito

Alcuni biomarcatori potrebbero preannunciare l’esito dell’infezione da Covid. In particolare, in modo diverso per gli uomini e per le donne, possono prevedere la gravità e la progressione della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Questi biomarcatori sesso-specifici sono stati identificati dai ricercatori del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS in collaborazione con i colleghi dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani (INMI – IRCCS), in uno studio pubblicato su Biology of sex differences.

“E’ ormai evidente che il sesso rappresenti una variabile biologica che influenza la severità di COVID-19 e l’insorgenza della insufficienza respiratoria grave – afferma Elena Ortona, ricercatrice dell’ISS che ha coordinato il team ISS-INMI – La definizione, dunque, di biomarcatori predittivi della progressione della malattia specifici per il sesso può aiutare a monitorare meglio e quindi indirizzare correttamente il trattamento dei pazienti più a rischio”.

Nell’indagine – continua l’esperta – “abbiamo esaminato, al momento del ricovero in ospedale, i livelli plasmatici di ormoni sessuali, quali testosterone, estradiolo, ACE2 solubile (sACE2) e Angiotensina1-7 (Ang1-7) insieme ai biomarcatori noti per la COVID-19 (livelli plasmatici di D-Dimero e ferritina, numero di neutrofili e linfociti). Tenendo conto, allo stesso tempo, di una serie di altri fattori, quali la presenza di comorbidità preesistenti, la gravità della malattia respiratoria al momento dell’ammissione in ospedale e l’insorgere di un peggioramento durante la degenza”.

I biomarcatori “sesso-specifici”, lo studio

I ricercatori hanno osservato – su un totale di 160 pazienti (80 uomini e 80 donne di età comparabile) ricoverati allo Spallanzani tra marzo e settembre 2020, positivi al SARS-CoV-2 – che alcuni marcatori erano efficaci nel predire l’andamento clinico della malattia sia negli uomini che nelle donne, mentre altri mostravano un valore predittivo sesso-specifico. In particolare, i livelli plasmatici di Ang1-7 e la conta dei neutrofili predicevano l’esito dell’ARDS solo nelle femmine, mentre i livelli plasmatici di testosterone e la conta dei linfociti solo nei maschi.

Nel dettaglio, per quanto riguarda in particolare il testosterone, i suoi livelli plasmatici erano significativamente più bassi in quei pazienti maschi che hanno poi sviluppato, durante l’ospedalizzazione, una ARDS moderata/grave rispetto a quelli con ARDS lieve/non grave. Diversi studi hanno infatti dimostrato che il testosterone ha un effetto antinfiammatorio, diminuendo quelle citochine che giocano un ruolo centrale nella tempesta citochinica e nell’infiammazione che contribuisce alla ARDS. Questo spiegherebbe perché negli uomini anziani l’abbattimento del testosterone si correla con l’aumento di uno stato pro-infiammatorio. Inoltre, il testosterone diminuisce in presenza di obesità e diabete, che sono comorbidità frequentemente associate alla COVID-19.

“I nostri dati- conclude Elena Ortona– pur necessitando di validazione su una popolazione più ampia, evidenziano che il sesso dovrebbe essere considerato come variabile biologica per la scelta del biomarcatore appropriato e sottolineano la necessità di personalizzare l’assistenza dei pazienti anche tenendo conto del loro sesso”.

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