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Covid-19: fattore età può aumentare di 100 volte rischio mortalità

Covid e rischi età

Uno studio ha individuato i fattori di rischio associati alla mortalità da Covid-19. Il principale è l’età: nei gruppi di età superiore a 65 anni rispetto a un gruppo di riferimento di 15-44 anni il rischio di mortalità è risultato addirittura superiore di cento volte. L’analisi è stata realizzata dai ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Segrate e dell’Unità di Epidemiologia genetica e farmacogenomica della Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano. I risultati sono pubblicati su Scientific Reports, rivista scientifica del gruppo Nature. Si tratta del primo studio pubblicato su tutta la casistica nazionale, messa a disposizione dall’Istituto superiore di sanità (sono stati analizzati oltre 4 milioni di pazienti positivi al Covid-19 in Italia, diagnosticati tra gennaio 2020 e luglio 2021). In particolare, la casistica includeva più di 415 mila pazienti ricoverati per Covid-19 e più di 127 mila soggetti deceduti. Per i pazienti per i quali erano disponibili età, sesso e data di rilevamento dell’infezione, è stato determinato l’impatto di queste variabili sulla probabilità di sopravvivenza, 30 giorni dopo la data della diagnosi o del ricovero.

L’analisi ha mostrato che ciascuna delle variabili analizzate ha influenzato in modo indipendente il rischio di morte per Covid-19. In particolare, nella serie complessiva, l’età è risultata essere il principale fattore di rischio per la mortalità, che nei gruppi di età superiore a 65 anni rispetto a un gruppo di riferimento di 15-44 anni è risultato addirittura superiore di cento volte, confermando che proteggere gli anziani dovrebbe essere una priorità nella gestione della pandemia. Inoltre, si è osservato un rischio di morte due volte superiore negli uomini rispetto alle donne. Infine, i pazienti infettati dopo la prima ondata pandemica (cioè dopo il 30 giugno 2020) hanno mostrato un rischio di morte circa 3 volte inferiore a quello dei casi infettati durante la prima ondata.

“Questo risultato – dichiara Francesca Colombo, ricercatrice dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr e coordinatrice dello studio – conferma e amplia i risultati di studi precedenti, condotti su casistiche di piccole dimensioni. Tuttavia la mancata disponibilità di altre informazioni cliniche, come ad esempio le co-morbidità dei pazienti o il tipo di trattamento, non ci hanno consentito di valutare l’effetto di altre variabili – oltre all’età, il sesso e il periodo di infezione – sulla sopravvivenza dei pazienti Covid-19. Ciò ha limitato la possibilità di individuare le categorie più a rischio di morte in seguito alla infezione da parte del coronavirus SARS-CoV-2, nella popolazione italiana”.

“I risultati che abbiamo pubblicato evidenziano la necessità e l’urgenza di implementare un database nazionale per la raccolta delle informazioni cliniche e del decorso delle malattie comuni, in particolare di quelle trasmissibili, ma non solo. Un database nazionale, affiancato da una biobanca, come quelle che altri paesi hanno già implementato, costituirebbero un forte sostegno alla ricerca scientifica e uno strumento in più per il sistema sanitario e la salute pubblica”, afferma Tommaso A. Dragani, già responsabile della s.s.d. Epidemiologia genetica e farmacogenomica dell’Istituto nazionale dei tumori.

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