Nella battaglia contro la demenza, un faro di speranza si accende dall’Italia. La combinazione di biomarcatori multipli può essere uno strumento cruciale per identificare, tra chi soffre di un disturbo cognitivo lieve, coloro che rischiano di sviluppare forme gravi di demenza entro tre anni. Un passo avanti non solo scientifico, ma umano: permettere trattamenti precoci, mirati, e salvare vite prima che la malattia divori ricordi e identità.
Il cuore dello studio: numeri e metodologia
Promosso nel 2018 dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), il progetto Interceptor ha coinvolto 351 partecipanti con lieve declino cognitivo (MCI), selezionati da un pool iniziale di 500 volontari. Attraverso un approccio multidisciplinare, sono stati analizzati otto parametri chiave: dal volume dell’ippocampo sinistro (misurato con risonanza magnetica) al rapporto tra proteine beta-amiloide e tau nel liquido cerebrospinale, passando per test genetici, valutazioni neuropsicologiche e analisi della connettività cerebrale tramite EEG.
I risultati sono chiari: 104 pazienti hanno sviluppato demenza nel follow-up medio di 2,3 anni, con l’85% dei casi riconducibili all’Alzheimer. Il modello predittivo, integrando dati clinici e biomarcatori, ha raggiunto un’accuratezza dell’81,6%, superando la soglia ritenuta necessaria per programmi di screening pubblici.
Demenza e terapie precoci: una questione di tempismo ed etica
Le nuove terapie, come quelle recentemente approvate dalla FDA statunitense e in attesa di via libera europeo, agiscono sui meccanismi biologici della malattia. Ma il loro utilizzo massivo è ostacolato da costi proibitivi (fino a decine di migliaia di euro per paziente) ed effetti collaterali significativi, come emorragie cerebrali. Ecco perché individuare i candidati ideali – quel 30-40% di MCI destinato a progredire – non è solo una questione scientifica, ma etica ed economica .
“Senza un modello predittivo, somministrare questi farmaci a tutti i 950.000 pazienti italiani con MCI sarebbe insostenibile”, spiegano i ricercatori. L’obiettivo è selezionare chi trarrà maggior beneficio, ottimizzando risorse e riducendo rischi.
Interceptor 2.0: il futuro è già qui
Con l’imminente approvazione europea dei farmaci anti-amiloide, il team di Interceptor prepara la fase successiva: **Interceptor 2.0**. Un progetto per validare il modello su piccola scala, testando l’efficacia dei trattamenti in gruppi selezionati. “L’integrazione con algoritmi di intelligenza artificiale aprirà nuove frontiere”, anticipa il coordinatore Paolo Maria Rossini, mentre il presidente dell’ISS Rocco Bellantone sottolinea il ruolo di leadership italiana nella ricerca sulle demenze.
Oltre la scienza: implicazioni sociali
Questa scoperta non è solo un trionfo della medicina, ma un atto di giustizia sociale. Permettere diagnosi precoci significa restituire anni di vita dignitosa, alleggerire il carico sulle famiglie, e ridurre i costi sanitari a lungo termine. Come osserva Camillo Marra, neuropsicologo del Gemelli, “l’integrazione tra clinica e biomarcatori è la chiave per una prevenzione efficace” .
In un mondo dove l’Alzheimer colpisce 55 milioni di persone, l’Italia scrive una pagina di speranza. Non una cura definitiva, ma un faro che guida verso un futuro in cui la demenza non sarà più una condanna, ma una battaglia da combattere con armi affilate e tempismo perfetto.
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