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Parkinson, nuovi strumenti per affrontarlo

Parkinson, una mano con tremore

Non esiste ad oggi una cura risoluti va per il Parkinson, ma in commercio stanno per arrivare quattro device mininvasivi che ci aiuteranno a scoprire e tenere a bada la malattia. I prototipi dei dispositivi sono stati premiati con un finanziamento dalla research venture Zcube e sono frutto dell’intuizione e delle ricerche scientifiche di Lazzaro Di Biase, giovane neurologo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, che ha creato una start-up per poterli validare e realizzare, nella speranza di renderli disponibili entro il 2020. L’obiettivo è rendere efficace una diagnosi precoce, il monitoraggio dell’evoluzione della patologia e la gestione del trattamento, sia orale che infusionale, in tempo reale e in base alle specifiche condizioni cliniche di ogni singolo paziente.

Diagnosi

Uno dei maggiori problemi, o almeno uno dei primi nella lotta alla malattia, è la diagnosi. Oggi, infatti, l’errore diagnostico sul Parkinson è del 30 per cento in qualsiasi fase della malattia. «Alcuni mesi fa – spiega Di Biase – avevamo realizzato un “orologio” particolare, dotato di un algoritmo in grado di ridurre questa percentuale all’8 per cento. Con il nuovo device confidiamo di riuscire a portare pressoché a zero questo margine d’errore». Ecco anche perché la sua scoperta è stata premiata, lo scorso 12 dicembre, proprio da Zcube, che finanzierà la ricerca e lo sviluppo dei dispositivi con 25mila euro.

Terapie

In effetti, il problema del Parkinson oggi è proprio la diagnosi precoce: da questa patologia non si guarisce, ma è possibile conviverci se viene diagnosticata precocemente e trattata farmacologicamente. Le terapie disponibili, infatti, sono efficaci nel migliorare i sintomi motori, soprattutto nelle prime fasi di malattia. Ma accanto al paziente parkinsoniano doc è possibile trovare tante persone affette dal tremore essenziale o dai cosiddetti parkinsonismi atipici, molto difficili da distinguere nelle prime fasi anche se osservati da specialisti esperti. Di solito, quando si riesce a ‘inquadrare’ in modo certo la patologia sono trascorsi ormai diversi anni. «Su questi casi noi vogliamo incidere con i nostri dispositivi – sottolinea Di Biase – anche perché in genere si può morire di Parkinson, ma il rischio di morte è legato spesso alle sue complicanze: l’impossibilità di muoversi che può produrre cadute e quindi rotture di femore, oppure allettamento, ulcere e polmoniti. Se, viceversa, diventasse possibile mantenere la mobilità lungo tutta la vita di un parkinsoniano, la sua aspettativa di vita potrebbe raggiungere quella di una persona sana».

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