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Tumore del pancreas, cos’è e come lo si può affrontare

Tumore del pancreas, il professor Carlo Molino nel corso di un intervento

«Affrontiamo una vasta gamma di patologie che colpiscono il pancreas. Tra queste neoplasie, la più frequente è l’adenocarcinoma, che purtroppo ha quasi sempre una prognosi molto severa. Questo avviene sia perché il pancreas è un organo complesso, che si trova al centro dell’addome e ha una connessione con altri organi e strutture vascolari e linfonodali fondamentali del nostro organismo, sia perché quasi sempre si arriva alla diagnosi in una fase tardiva che consente solo nel 20 per cento dei casi l’intervento chirurgico». A parlare è il Professor Carlo Molino, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Generale I e Chirurgia del Pancreas dell’Azienda Ospedaliera Antonio Cardarelli di Napoli.

Oltre l’adenocarcinoma, quali altri tumori possono colpire il pancreas?

«Forme talvolta meno aggressive sono i tumori neuroendocrini. Ad esempio, i cosidetti tumori pancreatici funzionanti (attivi perché secernono sostanze attive, ndr) come l’insulinoma, generalmente benigno. O ancora, i tumori neuroendocrini non funzionanti che in alcuni casi non richiedono un intervento, bensì una vigile attesa. Poi esistono diverse patologie neoplastiche che interessano il pancreas, ma sono secondarietà di altri tumori. Una nota a parte la meritano le lesioni cistiche del pancreas per le quali oggi possiamo fare prevenzione».

Professore, qual è l’incidenza del tumore del pancreas in Campania e in Italia?

«Il primo dato da considerare è che tra pochi anni, di qui a un decennio, si prevede che il tumore del pancreas sarà la seconda causa di morte per neoplasia. L’incidenza sta aumentando notevolmente. La nostra regione conta circa 830 nuovi casi di tumore al pancreas ogni anno, e come dicevo prima solo il 20 per cento può essere affrontato upfront con la chirurgia».

Incidenza in linea con le altre regioni d’Italia?

«Sì. È una realtà non solo della nostra regione, ma comune a tutti gli altri territori. In media, l’esordio di queste neoplasie del pancreas riguarda i settantenni. Tuttavia, stiamo riscontrando un incremento anche tra pazienti più giovani».

Esistono fattori di rischio noti?

«Fumo e alimentazione sono fattori predisponenti. Purtroppo, anche i fattori ambientali sono determinanti e favoriscono l’aumento delle neoplasie».

Campanelli d’allarme ce ne sono?

«Ad oggi per il tumore del pancreas non esistono test di screening come invece avviene per altre forme di tumore molto frequenti (si pensi al sangue occulto per le neoplasie del colon). Arriviamo a una diagnosi in modo accidentale, quando facciamo un esame per qualche altra patologia e scopriamo un tumore del pancreas. Oppure, lo diagnostichiamo dai sintomi, ma in fase molto avanzata. In linea generale possiamo dire che i tumori della testa del pancreas vengono scoperti per la comparsa di ittero (comparsa di colorazione giallastra della cute, ndr), e i tumori del corpo coda per il dolore che fa l’esordio come primo sintomo, ma è anche segno di notevole estensione della neoplasia agli organi circostanti».

Tutto questo a meno che non vi sia una patologia nota a carico del pancreas che quindi monitorate sino a un eventuale intervento?

«Sì, ma sono casi sporadici».

Ricevuta una diagnosi, come si interviene?

«Si interviene unendo le forze. Chirurgia e terapia medica oncologica viaggiano insieme. Spesso ormai la chemioterapia precede la chirurgia (la cosiddetta chemioterapia neoadiuvante) consentendoci in molti casi, grazie a nuove molecole, di operare pazienti che prima non sarebbero stati trattati chirurgicamente. Anche le tecniche chirurgiche si sono affinate. Oggi le possiamo realizzare in modo mininvasivo, in laparoscopia o con tecnica robotica. Noi siamo stati i primi, in Campania, a operare in robotica i tumori della testa del pancreas».

Molto ha fatto parlare il caso di una paziente di Siena che, dopo una diagnosi e uno screening genetico, ha ricevuto una terapia e il suo caso si è risolto.

«È uno dei casi che ci ricorda come la scienza faccia progressi e quanto il quadro complessivo sia in evoluzione. Purtroppo resta un caso limitato, esistono molte mutazioni in questi tumori, individuarle ci consente a volte di personalizzare la terapia con successi straordinari. Questi sono ancora casi rari che, però, ci danno grande speranza».

La sua Unità Operativa Complessa è un punto di riferimento non solo per la Campania, ma per l’intero Mezzogiorno.

«Riceviamo pazienti da tutto il Meridione, ma anche da regioni del Nord Italia. Otre le varie terapie che sono disponibili in quasi tutte le strutture italiane, noi siamo in grado di offrire anche una procedura che si chiama elettroporazione irreversibile, che si pratica per i tumori non resecabili. Siamo stati tra i primi al mondo a renderla disponibile e non a caso il nostro è un centro di riferimento per questa patologia. Abbiamo le competenze e per accogliere i pazienti e offrire una presa in carico globale. Il paziente oncologico deve essere messo al centro di un percorso di cura che gli garantisca il supporto di vari specialisti, senza che debba essere lui ad andare a cercare le diverse consulenze».

In conclusione, possiamo dunque dire che oggi una diagnosi di tumore del pancreas non va interpretata necessariamente come una sentenza?

«Siamo sulla strada giusta per fare in modo che anche il tumore del pancreas diventi una malattia cronicizzabile. Spostiamo sempre più in alto un’asticella che prima era estremamente bassa. L’importante è rivolgersi a strutture come la nostra, che da anni si occupano di questa patologia e che possono offrire i migliori trattamenti e le cure più innovative».

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