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Anziani, solitudine aumenta rischio malattie, novità della Legge 33

Anziani Cronicità, le mani di una signora anziana
In Italia, il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei. La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari.

L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo, gli over 65 sono 14 milioni, più del 20% della popolazione. Inoltre, si stima che nel 2050 saranno il 35%, ovvero 20 milioni. In questo quadro si inseriscono i nuovi decreti attuativi della Legge 33/23 per l’assistenza agli anziani.

Anziani, Legge 33

Il Decreto Legislativo proposto dal Consiglio dei Ministri in cui sono riportate le disposizioni attuative della Legge n.33 del 23 marzo 2023 sulla riforma dell’assistenza guarda agli anziani non autosufficienti. La legge delega razionalizza e sintetizza un lungo percorso normativo. La riforma valorizza il metodo della valutazione multidimensionale, lo sviluppo dei servizi territoriali e domiciliari integrati, la digitalizzazione. Tuttavia, per la Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio – SIGOT, si deve lavorare ancora sulla prossimità dell’assistenza alla persona anziana. La società ha avanzato alcune proposte in occasione della recente giornata di studi alla Camera. “Tra queste – ha spiegato il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente SIGOT – l’adozione di programmi di formazione delle professioni tecnico-sanitarie che saranno impiegate nella telemedicina; la presenza di una figura medica geriatrica di coordinamento delle attività assistenziali all’interno delle RSA in cooperazione con i medici di medicina generale”.

Scenario demografico 

L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo: gli over 65 sono 14 milioni, più del 20% della popolazione, e si stima che nel 2050 saranno 20 milioni, il 35%. Gli ultraottantenni, che oggi rappresentano il 7% della popolazione raddoppieranno entro il 2050 raggiungendo i 9 milioni di unità. Poiché l’incremento della durata media di vita non è accompagnato da un corrispondente aumento dell’aspettativa di vita in autonomia, il numero di persone in condizione di disabilità è in continua crescita. I cambiamenti sociali inoltre, con la riduzione della natalità e l’instabilità dei vincoli familiari, con la restrizione numerica dei nuclei, hanno ridotto la capacità da parte delle famiglie di far fronte alle necessità dei componenti bisognosi e non più produttivi. In Italia, il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari.

Anziani, ruolo dello stile di vita  

“Affinché gli anziani possano continuare ad essere una risorsa per le famiglie e per la società, è necessario impedire la perdita della loro autonomia e ridurre il numero delle disabilità, che aumentano con l’avanzare dell’età, tanto che oggi quasi il 60% di coloro che hanno una disabilità grave sono over 75 – sottolinea il Prof. Lorenzo Palleschi – La disabilità – sia cognitiva che fisica – può essere prevenuta, arrestando o ritardando la fragilità che ne è alla base con azioni mirate come l’esercizio fisico, l’intervento nutrizionale, la stimolazione cognitiva, e il controllo dei fattori di rischio. Questi interventi devono rivolgersi a coloro che hanno ancora un’autonomia preservata o parzialmente preservata e pertanto tenersi a domicilio”.

Assistenza a domicilio 

Il domicilio si configura come il luogo elettivo dove assistere la persona anziana. L’ospedale, infatti, non solo non può dare tutte le risposte, ma può essere un fattore di rischio di perdita dell’autonomia personale. Diversi studi attestano che il 30% degli ultra70enni ricoverati per una patologia acuta non direttamente disabilitante, viene dimesso dall’ospedale con un livello di autonomia inferiore rispetto alla situazione antecedente il ricovero.

“I dati della letteratura dimostrano però che la disabilità correlata al ricovero in ospedale, può essere prevenuta negli anziani, orientando gli interventi sulla base della Valutazione Multidimensionale Geriatrica– sottolinea il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente SIGOT – Per questo la SIGOT invita a potenziare, negli ospedali, le Unità Operative Ospedaliere di Geriatria per acuti, reparti che utilizzano un modello clinico-assistenziale bio-psico-sociale, incentrato sulla funzione e non solo sulla malattia. Evidenze scientifiche fortissime e incontrovertibili hanno dimostrato che l’approccio specificamente dedicato al paziente anziano acuto in ospedale, riduce disabilità, istituzionalizzazione e mortalità. Parallelamente, nei percorsi operativi sul territorio è auspicabile assegnare allo specialista geriatra il ruolo di esperto della complessità e professionista di sintesi della polipatologia, prevedendo la sua integrazione organica nella Unità Valutativa Multidimensionale per i casi di maggiore complessità”.

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