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Protesi al seno e tumore, quali possono aumentare rischio

Raffaele Rauso e Pierfrancesco Bove
La superficie delle protesi mediche può interagire con il sistema immunitario. Quelle lisce si confermato sicure. Lo studio è stato realizzato da un team multidisciplinare di ricercatori italiani. I risultati aprono nuove prospettive anche per i dispositivi medici impiantati.

La forma della superficie di una protesi può interagire in modi inaspettati con il sistema immunitario. Lo ha scoperto un team di studiosi italiani. Dei micro avvallamenti o conche usati per rendere la protesi più ruvida e stabile possono intrappolare le cellule del sistema immunitario, scatenando un’infiammazione. La scoperta è stata possibile grazie a un lavoro multidisciplinare che ha coinvolto chirurghi, ingegneri, biofisici ed immunologi.

I dati emersi nello studio aggiungono un elemento inedito – quello della geometria microscopica – alla comprensione dei meccanismi infiammatori legati alle protesi. Fino a oggi l’ipotesi degli scienziati era che l’infiammazione dipendesse dai materiali o da infezioni batteriche o dalla frizione meccanica tra il corpo estraneo e i tessuti circostanti. Il nuovo studio si è concentrato sulle protesi per il seno ma i risultati valgono per tutti i dispositivi medici sottopelle.

Lo studio

Lo studio è stato pubblicato su Life Science Alliance, la rivista Open Access nata da tre realtà di eccellenza: EMBO, Rockefeller University e Cold Spring Harbor Laboratory. Il lavoro è stato condotto dal Dott. Valeriano Vinci, ricercatore di Humanitas University e chirurgo presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas diretta dal Prof. Marco Klinger, il Prof. Gerardus Johannes Janszen, docente del Politecnico di Milano, la Dott.ssa Cristina Belgiovine dell’Università di Pavia e il Prof. Roberto Rusconi, professore associato di fisica applicata presso Humanitas University e responsabile del laboratorio di biofisica e microfluidica di Humanitas. La ricerca è stata possibile grazie al sostegno di un finanziamento PRIN del Ministero della Ricerca.

Protesi al seno e risposta infiammatoria

Le protesi mediche possono essere strumenti di cura, come nel caso dei peacemaker. In altri casi consentono alle pazienti oncologiche di riappropriarsi della loro identità. Tuttavia si tratta pur sempre di corpi estranei accolti all’interno di un organismo abituato a rispondere alle possibili minacce che provengono dall’esterno. In altre parole, possono generare localmente una risposta infiammatoria. Quando questa risposta è eccessiva, può aumentare il rischio di sviluppare malattie infiammatorie, autoimmuni, o anche tumori, soprattutto quelli associati a condizioni di infiammazione cronica. È il caso, ad esempio, del Linfoma anaplastico a grandi cellule (noto come ALCL), un linfoma molto raro e con buoni tassi di guarigione, purché identificato per tempo. L’incidenza è però lievemente più alta nelle pazienti con protesi al seno macro-testurizzate, una tipologia di protesi caratterizzata da una superficie più ruvida, che è stata poi tolta dal commercio proprio per questa correlazione.

Protesi al seno e dispositivi, rischi bassi

“L’obiettivo della nostra ricerca non è tanto capire il meccanismo alla base del maggior rischio presentato dalla protesi macro-testurizzate, ormai non più in commercio”, ha spiegato  il dott. Valeriano Vinci. “Era, invece, mettere a punto un sistema per testare la sicurezza delle altre protesi al seno in uso, come quelle lisce e soprattutto le micro-testurizzate, e potenzialmente di altre tipologie di protesi o dispositivi medici, anche molto diversi da una protesi al seno. Indipendentemente da forma e funzione infatti, tutti i dispositivi medici hanno una superficie esterna a contatto con i tessuti dell’organismo e, come la nostra ricerca dimostra, il modo in cui è fatta questa superficie ha un ruolo importante».

Geometria protesi interagisce con il sistema immunitario

Lo studio ha coinvolto 43 pazienti che avevano necessità di sostituire la propria protesi al seno. Si tratta una procedura comune a distanza di tanti anni dal primo inserimento e nel caso di protesi temporanee, a espansione, il cui ruolo è proprio quello di preparare il tessuto a ospitare la protesi permanente. Oltre il 60% delle donne aveva una storia di tumore al seno e a seguito dei trattamenti aveva fatto ricorso alla chirurgia ricostruttiva.

I ricercatori hanno raccolto il liquido peri-protesico delle pazienti e l’hanno analizzato con tecniche di analisi genomica e cellulare avanzate. L’obiettivo era identificare la presenza di infezioni batteriche e analizzare il profilo di attivazione immunitaria, ovvero quali cellule del sistema immunitario e quali citochine infiammatorie erano presenti.

Risultati

“Abbiamo scoperto che l’elemento chiave nel determinare la risposta infiammatoria, sia cellulare che molecolare, non era la presenza o meno di infezioni batteriche, quanto la struttura geometrica superficiale delle diverse protesi”, ha affermato il prof. Roberto Rusconi. “Nel caso delle protesi macro-testurizzate, che presentano cioè superfici con avvallamenti particolarmente pronunciati e spigolosi, come dei veri e propri pozzetti micrometrici, l’infiammazione è maggiore. Mentre quelle lisce e quelle micro-testurizzate, ovvero solo lievemente “ruvide” – una proprietà importante per mantenerle stabili e ridurre il rischio di altre complicanze – hanno tassi bassi di infiammazione e si confermano sicure”.

Per comprendere meglio il motivo di questa reazione infiammatoria, i ricercatori hanno riprodotto la superficie dei modelli in laboratorio. Hanno poi indagato come le cellule immunitarie reagiscono in un contesto controllato. L’esperimento è stato possibile grazie alla collaborazione con il gruppo del prof. Gerardus Janszen e del prof. Luca di Landro del Politecnico di Milano, che hanno utilizzato un microscopio elettronico in grado di fotografare la superficie delle a livello nanometrico, per poi riprodurle fedelmente utilizzando un materiale polimerico, il PDMS, simile a quello impiegato per le protesi al seno.

Protesi, i motivi alla base dei rischi

«Gli studi condotti in laboratorio hanno confermato quanto osservato nei campioni clinici. Non solo, ma ci hanno permesso di vedere cosa stava realmente accadendo: le cellule immunitarie, ed in particolare i linfociti T, vengono intrappolate all’interno dei pozzetti presenti sulla superficie di quelle macro-testurizzate. In questa condizione di confinamento, rilasciano segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario, le citochine appunto, caratteristici di uno stato di infiammazione cronica», spiegano Roberto Rusconi e Valeriano Vinci, che concludono: “Lo studio dà un messaggio positivo sulla sicurezza delle protesi micro-testurizzate e ha un alto valore traslazionale. Grazie a questo lavoro abbiamo messo a punto una vera e propria piattaforma tecnologica per testare le superfici di altre tipologie di protesi e dispositivi medici”.

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