Ricerca innovazione

Pelle umana creata in laboratorio grazie alle staminali

La pelle che abito

Pelle umana creata grazie alle cellule staminali e “coltivata” in laboratorio. Quella che potrebbe sembrare una puntata de Ai confini della realtà è invece una ricerca portata avanti dell’Harvard Medical School di Boston e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. Il metodo prevede l’impiego di cellule staminali pluripotenti umane, in grado di formare, come spiegano i ricercatori, «tessuto cutaneo a più strati con follicoli piliferi, ghiandole sebacee e circuiti neuronali». Facile comprendere quale importanza possa avere questa ricerca, ad esempio per applicazioni legate alla chirurgia ricostruttiva o anche a terapie per malattie sino ad oggi incurabili. 

LE DIFFICOLTA’

La pelle, che è il più esteso degli organi umani, non solo è molto complesso ma è anche coinvolto in diversi processi: dalla regolazione della temperatura alla ritenzione di liquidi corporei, al rilevamento di tatto e dolore. Ricostruirla è difficilissimo e non a caso si adoperano vere e proprie banche della pelle che si adoperano in caso di gradi ustionati o di interventi di ricostruzione. Il team di Karl Koehler descrive un sistema di coltura in grado di generare organoidi cutanei da cellule staminali pluripotenti umane attraverso un’attenta ottimizzazione delle condizioni di crescita. Dopo un periodo di incubazione di 4-5 mesi, gli organoidi presentavano distinti strati di epidermide e derma, nonché follicoli piliferi con ghiandole sebacee e circuiti nervosi.

SUI TOPI

Dopo l’impianto sulla schiena di topi immunodepressi, sul 55% degli innesti sono spuntati peli di 2-5 mm, a dimostrazione del fatto che gli organoidi sono in grado di integrarsi con l’epidermide di topo e di formare una pelle dotata di peli umani. Ci sono però ancora diverse domande a cui rispondere prima che questo approccio terapeutico possa diventare una realtà, scrivono Leo Wang e George Cotsarelis dell’University of Pennsylvania in un articolo di accompagnamento di questo studio. Tuttavia, «il lavoro è molto promettente dal punto di vista della traduzione nella pratica clinica, e siamo fiduciosi che la ricerca alla fine vedrà realizzata questa promessa». Per quanto incredibile, questa ricerca porta alla mente capolavori del cinema come “La pelle che abito” e ci proietta verso un futuro nel quale si potranno impiegare strategia di cura oggi impensabili.

la memoria della pelle

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