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Ipertrofia prostatica, quando la diagnosi non è un problema

Scompenso cardiaco, un uomo in pigiama seduto sul letto con la mano poggiata sulla fronte si mostra pensieroso
Scompenso cardiaco, un uomo in pigiama seduto sul letto con la mano poggiata sulla fronte si mostra pensieroso

Eseguire una corretta diagnosi differenziale fra IPB e carcinoma della prostata è uno degli argomenti più importanti dell’attuale Urologia, non tanto perché distinguere il carcinoma da una iperplasia sia complesso, quanto perché la vera distinzione andrebbe fatta tra le neoplasie a elevato potenziale di malignità e quelle che invece sono destinate a non causare problemi al paziente. Senz’altro un impulso importante in questa direzione arriva dalla risonanza magnetica multiparametrica che ha preso piede come esame diagnostico di primo livello per la diagnosi differenziale tra iperplasia e neoplasia. Come spiega il professor Ferdinando Fusco (associato di Urologia all’Università della Campania Luigi Vanvitelli) «la risonanza consente di individuare con maggiore probabilità proprio quelle neoplasie che hanno un rischio clinico significativo. In attesa di ulteriori approfondimenti vige al momento il concetto generale che se una neoplasia è visibile alla risonanza allora è clinicamente significativa e merita l’attenzione dell’urologo». Va detto che le biopsie sono sempre più mirate con un maggior tasso di accuratezza e ciò consente di risparmiare il numero di ripetizioni bioptiche ed il numero di prelievi. Inoltre c’è molta attesa per quello che potrebbe essere un passo rivoluzionario nel campo della diagnostica del tumore prostatico: la cosiddetta “biopsia liquida”. «Al momento si tratta di un filone di ricerca che non ha ancora implicazioni nella pratica clinica corrente – prosegue Fusco – ma è possibile che nel prossimo futuro saranno disponibili test che consentano di rilevare la presenza di tumore da un semplice “esame del sangue”».

NUOVE TECNICHE

Ma il futuro è già iniziato in campo urologico anche per il trattamento delle neoplasie, non solo prostatiche, ad esempio per i tumori della vescica, che in un passato non troppo remoto venivano trattati in modo estremamente invasivo, e che oggi vengono operati in via robotica ricostruendo una vescica utilizzando un pezzo di intestino, in modo da rendere la qualità di vita dei pazienti decisamente migliore. A spiegare in modo semplice questa rivoluzione è il dottor Roberto Falabella, responsabile della chirurgia robotica in Urologia presso il San Carlo di Potenza. «Il nostro ospedale, tra i primi ospedali del sud Italia, si è dotato nel 2014 di piattaforma robotica Da Vinci. I vantaggi sono enormi – dice – a partire dalla visione 3D con ingrandimento fino a 10 volte che consente una più ampia e corretta visione del campo anatomico per eseguire dissezioni più precise e sicure. le braccia robotiche, inoltre, offrono ampia libertà di movimento e una rotazione di circa 540° che permette di accedere anche in aree altrimenti difficilmente raggiungibili, eliminando quel tremore fisiologico delle nostre mani». Tutti gli interventi di chirurgia maggiore possono essere eseguiti con l’ausilio del robot Da Vinci, anche la cistectomia radicale, fino a poco tempo fa un taboo in questo senso per lunghezza e difficoltà. La possibilità di eseguire l’intervento con una tecnica robotica garantisce un’ottima radicalità oncologica accompagnata da minori perdite di sangue, minor dolore post operatorio, minore ospedalizzazione e un più rapido ritorno del paziente alle attività quotidiane. La precisione garantita dalla robotica consente inoltre migliori risultati funzionali in termini di sessualità e di continenza urinaria. È un intervento molto complesso da riservare a centri con grande esperienza e a grande volume chirurgico. Ma anche la chirurgia renale presenta novità importanti, a parlarne è il dottor Stefano Signore, direttore della U.O.C. di urologia della ASL Roma 2, Ospedali S Eugenio e CTO. «L’ intervento di asportazione del rene in laparoscopia – spiega – semplifica di molto le cose. Grazie ad una “suturatrice automatica”, che taglia e cuce i vasi sanguigni, non c’è la i rischi e i tempi d’intervento si riducono». Questa tecnica operatoria riduce al minimo il rischio di lesioni dei vasi sanguigni ed offre la sicurezza di una chiusura che non permette perdite di sangue.

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