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Parkinson, esercizio fisico intenso frena la malattia

Parkinson, una mano con tremore
Gli effetti benefici dell’allenamento, effettuato nelle prime fasi della malattia, possono durare nel tempo anche dopo l’interruzione.

L’esercizio fisico intensivo potrebbe rallentare il decorso della malattia di Parkinson. Lo dimostra uno studio italiano che ha indagato gli effetti neuroprotettivi dell’attività fisica. La scoperta dei meccanismi biologici alla base potrebbe aprire la strada a nuovi approcci non-farmacologici da associare alle terapie in uso.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista ‘Science Advances’. Gli autori sono neuroscienziati della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, Campus di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. Allo studio hanno collaborato anche gli istituti di ricerca dell’Università telematica San Raffaele Roma, il CNR, TIGEM, l’Università degli studi di Milano e l’IRCCS San Raffaele Roma.

Parkinson e sport, il meccanismo protettivo

I ricercatori hanno individuato un nuovo meccanismo responsabile degli effetti positivi dell’esercizio fisico sulla plasticità cerebrale. Sebbene i risultati siano stati ottenuti su un modello sperimentale, gli autori intravedono importanti implicazioni per il paziente. “La novità del nostro studio – sottolinea il professor Paolo Calabresi, corresponding author dello studio, Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica e direttore della UOC Neurologia al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs – risiede nell’aver scoperto un meccanismo mai osservato prima”.

Attraverso questo meccanismo “l’esercizio fisico effettuato nelle fasi precoci della malattia induce effetti benefici sul controllo del movimento volontario che possono durare nel tempo anche dopo l’interruzione dell’allenamento – prosegue Calabresi.

Secondo lo studio un’attività fisica intensiva e costante è in grado di indurre modificazioni funzionali e strutturali nei neuroni e consente di contrastare gli effetti di eventi che provocano tossicità neuronale. “Questo nuovo meccanismo individuato – sottolinea Calabresi – può permettere di identificare nuovi target terapeutici e marcatori funzionali da tenere in considerazione per sviluppare trattamenti non-farmacologici da adottare in combinazione con terapie farmacologiche attualmente in uso”.

Allenamento per il cervello 

Studi precedenti avevano già dimostrato come l’attività fisica intensiva si associ a un aumento della produzione di un fattore di crescita fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni, il brain-derived neurotrophic factor (BDNF).

In questo studio gli autori hanno osservato lo stesso fenomeno in risposta ad un protocollo di allenamento su tapis roulant. Per la prima volta hanno dimostrato il meccanismo attraverso cui questo fattore neurotrofico agisce nel determinare gli effetti benefici dell’attività fisica a livello cerebrale e quindi comportamentale.

In conclusione è emerso che un protocollo di esercizio fisico della durata di quattro settimane può rallentare la progressione di malattia in un modello animale di Parkinson in fase iniziale (ottenuto con la somministrazione intracerebrale di alfa-sinucleina umana, una proteina che nella sua forma aggregata ha un ruolo importante nella malattia).

L’effetto neuroprotettivo dell’attività motoria è associato alla sopravvivenza dei neuroni che rilasciano il neurotrasmettitore dopamina e alla capacità dei neuroni del nucleo striato di continuare a svolgere la loro funzione, aspetti altrimenti compromessi dalla malattia. Anche il controllo motorio e l’apprendimento visuo-spaziale risultano intatte negli animali sottoposti ad allenamento intenso. Gli effetti effetti benefici perdurano nel tempo anche oltre l’interruzione dell’esercizio fisico.

Il futuro

Per quanto riguarda i possibili sviluppi futuri il professor Paolo Calabresi spiega che: “il nostro gruppo di ricerca è coinvolto in uno studio clinico per verificare se l’esercizio fisico possa rallentare la progressione della malattia di Parkinson nei pazienti in fase precoce e individuare nuovi marcatori in grado di seguire il decorso della patologia”. La malattia di Parkinson ha un’importante componente neuroinfiammatoria e neuroimmune che riveste un ruolo chiave nelle prime fasi della malattia. “La ricerca proseguirà grazie all’apporto determinante dei modelli animali – prosegue –  che ci permetteranno di indagare anche il coinvolgimento delle cellule della glia, popolazioni cellulari che supportano l’attività dei neuroni, oltre a essere implicate nella risposta immunitaria. Ciò consentirà di identificare meccanismi molecolari e cellulari alla base degli effetti benefici osservati”.

La ricerca è stata resa possibile grazie ai finanziamenti del Fresco Parkinson Institute to New York University School of Medicine and The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson’s and Movement Disorders, del Ministero della Salute e del MIUR (sia relativi al bando PRIN 2017, sia quelli CNR-MUR, due grant differenti),

 

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