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Long Covid e danni al cuore, come il sistema immunitario attacca cellule

malattie cardiovascolari strutturali, immagine di un cuore
Una ricerca italiana ha spiegato come il danno cardiaco dipenda dal meccanismo chiamato ‘perdita di tolleranza immunologica’.

Il corpo umano ha sistemi molto efficienti per riconoscere il “self” ovvero le cellule proprie dell’organismo. In questo modo i meccanismi di difesa riescono a centrare il bersaglio. Tuttavia, alcune volte qualcosa può minare questo equilibrio e possono iniziare le malattie autoimmuni. Succede quando il “programma di tolleranza” che governa l’equilibrio delle difese si altera. Una ricerca italiana ha fatto chiarezza sul perché il sistema difensivo in alcune persone si altera: cioè si scatena contro le cellule cardiache e le attacca. Si tratta di uno dei risvolti del long covid, per questo gli studiosi prevedono sviluppi per terapie future dei postumi dovuti al Covid-19.

Long Covid, se il sistema immunitario combatte contro se stesso

Nel corpo circolano migliaia di cellule immunitarie in grado di riconoscere e potenzialmente attaccare i propri organi e tessuti. Tuttavia esiste un “programma di tolleranza” che, se attivo, impedisce l’aggressione nei confronti di se stesso.

Uno studio condotto dai ricercatori di Humanitas apre la strada a una migliore comprensione del Long Covid. La ricerca ha coinvolto pazienti con postumi cardiaci da Covid. I risultati pubblicati sulla rivista Circulation dimostrano come l’incontro di alcune di queste cellule immunitarie con SARS-CoV-2 sia in grado di spegnere accidentalmente il programma di tolleranza, scatenando le cellule contro il tessuto cardiaco. Il meccanismo autoimmune identificato, che può persistere per mesi dopo la fine dell’infezione, potrebbe spiegare anche altri sintomi associati a questa patologia.

Long Covid e cuore

La metà dei pazienti ricoverati per COVID-19 con alti livelli di troponina (un indicatore di danno al tessuto cardiaco) presentano anomalie nella risonanza magnetica cardiaca anche a 6 mesi dalla guarigione.

“Le complicanze cardiovascolari sono frequenti nei pazienti guariti da COVID-19, soprattutto in chi ha sofferto di una forma grave dell’infezione – spiega il prof. Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas e docente Humanitas University.

Il danno subito da organi e tessuti a seguito di un’infezione come COVID-19 può essere spiegato attraverso due fenomeni, anche coesistenti. Il primo è l’aggressione diretta da parte del virus e il danno collaterale dovuto alla risposta immunitaria scatenata dal virus e poi rivolta – erroneamente – contro il tessuto. «Il secondo fenomeno è in grado di spiegare il danneggiamento di tessuti che SARS-CoV-2 non ha attaccato direttamente – continua il prof. Condorelli. Oltre a spiegare perché questo danno persista anche dopo l’infezione, cioè quando il virus non è più presente, come accade nel Long Covid».

La perdita di tolleranza immunologica

Per capire cosa succede nel caso di complicanze cardiovascolari, i ricercatori hanno coinvolto pazienti ricoverati in Humanitas con COVID-19. Si sono concentrati in particolare su chi, a distanza di 6 mesi dalle dimissioni, mostrava un danno cardiaco alla risonanza magnetica, pur non avendo una storia pregressa di malattie cardiovascolari.

“Analizzando i campioni di questi pazienti abbiamo scoperto un’attivazione anomala di alcuni tipi di globuli bianchi – le cellule B, quelle deputate a produrre gli anticorpi – e abbiamo identificato la presenza di alcuni auto-anticorpi che riconoscono i tessuti del cuore”. “Questi auto-anticorpi sono assenti nei pazienti ricoverati con COVID-19 ma senza danni cardiaci e sono sufficienti a scatenare una reazione autoimmune contro il cuore – spiegano i ricercatori Marco Cremonesi e Arianna Felicetta, primi autori dello studio.

I dati, seppur indicativi e su un piccolo numero di pazienti, confermano l’ipotesi dei ricercatori: “il danno cardiaco è compatibile con un meccanismo chiamato ‘perdita di tolleranza immunologica’– spiega il prof. Marinos Kallikourdis, capo del Laboratorio di Immunità Adattiva di Humanitas e docente Humanitas University.

Può spiegare altre reazioni nel long covid 

Secondo gli scienziati, durante l’infezione da COVID-19 alcune cellule immunitarie fatte per riconoscere i tessuti vengono accidentalmente stimolate dall’incontro con il virus e spengono “il freno” che, in condizioni normali, impedisce loro di aggredire il proprio organismo.

 “La perdita di tolleranza immunologica potrebbe spiegare anche la varietà dei sintomi del Long COVID: benché si tratti di un meccanismo singolo, può infatti produrre conseguenze cliniche molto diverse tra loro, a seconda del tipo di specificità delle cellule immunitarie che perdono la tolleranza dopo l’incontro con SARS-CoV-2 – continua Kallikourdis -. Ciò significa che lo stesso meccanismo potrebbe spiegare altre reazioni autoimmuni, ad esempio contro il tessuto nervoso, tipiche del Long Covid”.

Se ulteriormente confermati, i risultati, oltre al ruolo dell’immunità nelle malattie cardiache, possono dimostrare l’efficacia di alcuni farmaci immunomodulanti nel trattamento dei pazienti Covid.

Il team di ricercatori

La ricerca nasce dal lavoro congiunto tra il gruppo di Marinos Kallikourdis, a capo del Laboratorio di Immunità Adattiva di Humanitas, e il gruppo di Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas, con il supporto del team di Marco Francone, responsabile dell’Imaging Cardiovascolare di Humanitas, tutti e tre docenti presso Humanitas University. Lo studio è stato possibile anche grazie al sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca e di Fondazione Umberto Veronesi ETS.

Il lavoro è frutto dell’impegno scientifico di Humanitas nella comprensione del Long Covid che ha portato anche ai recenti risultati, della ricerca pubblicata sulla rivista Clinical Infectious Diseasese e coordinata da Maria Rescigno e Alberto Mantovani, in cui si dimostra l’efficacia della vaccinazione anti-COVID-19 nel ridurre la durata dell’infezione e nel prevenire l’insorgenza del Long Covid, a ulteriore conferma di un precedente articolo firmato dallo stesso gruppo su JAMA nel 2022.

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