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Medici insoddisfatti, un danno per i pazienti

Solidarietà ai medici anti Covid
Un vecchio adagio recita: «Il medico pietoso fece la piaga puzzolente», per dire che il medico non dovrebbe mai lasciarsi impietosire dalle lamentele dei suoi pazienti. L’unico obiettivo deve essere la miglior cura. Oggi si scopre che è lo stato d’animo del medico stesso a fare la differenza, in attesa di una diagnosi o di una cura. Già, la serenità del medico (o la sua insoddisfazione), può fare la differenza: una sua parola o un suo atteggiamento possono infatti sollecitare emozioni diverse nel paziente, fino a condizionare il percorso terapeutico.

Università e in corsia

Purtroppo i dati sul grado di soddisfazione dei medici non sono rassicuranti, a partire dalle università. Gli studenti partono con entusiasmo ed empatia, ma presto  imparano ad «indurirsi». E non va meglio per i colleghi medici che già sono in servizio, che spesso sono esauriti, hanno pensieri negativi, e hanno sintomi importanti da «burnout». Alcuni specialisti più di altri: a maggior rischio gli oncologi, i medici di pronto soccorso, i chirurghi. Della felicità dei medici ha parlato Elisabetta Cofrancesco, medico e psicoterapeuta, presidente dell’associazione Ref (Ricerca, Educazione e Formazione per la qualità della vita dell’ammalato), nel corso del Festival di Bioetica a Santa Margherita Ligure.

Dati allarmanti

«I dati sono allarmanti» ha detto Cofrancesco citando alcune indagini. Le tre D (Drug, Drink and Depression) – riferisce la rivista Jama (2018)- sono frequenti fra i medici Usa, fino al 50%, hanno pensieri di suicidio (6-12%), un tasso più del doppio rispetto a quello di altri professionisti (tra le donne medico tre volte più frequenti rispetto ai colleghi maschi); spesso vivono in conflitti coniugali. In Europa uno studio condotto da Esmo (European Society for medical Oncology) lo scorso anno, che ha coinvolto 737 oncologi di 41 paesi, ha rilevato che il 71% di essi avevano una forte condizione di burnout. «Questo problema del burnout – ha proseguito Cofrancesco – comincia presto, già all’università. Si è visto che fra gli studenti di medicina lo stato di stress è più altro rispetto a quelli di altri corsi di studio. Gli studenti ‘imparano’ a staccarsi dalle emozioni».

Sentimenti sbagliati

Alcuni esperti attribuiscono questa condizione ad una sorta di “machismo” che riguarda la classe medica riguardo a sentimenti di infallibilità e di onnipotenza. «A questo si aggiunga una sorta di addestramento, inconsapevole, per diventare insensibili alle emozioni più forti, come il dolore, la sofferenza, la rabbia, la paura, la mort». Alla fine si ha “il cuore indurito”. Il burnout, la sindrome caratterizzata appunto da “esaurimento emotivo e spersonalizzazione”, mette a rischio non solo la vita dei medici ma “anche la sicurezza del paziente, facendo aumentare gli errori medici”. Una condizione che risente anche di fattori esterni come l’eccesso di burocrazia, lo scarso personale, gli orari e i carichi di lavoro eccessivi. La soluzione al problema del burnout, e della conseguente infelicità, c’è. «I medici, che non sanno di stare male, devono accettare i propri limiti e la propria vulnerabilità, devono aumentare la capacità di resilienza e recuperare il proprio ‘sentire’ attraverso una formazione improntata alla crescita personale e al lavoro su di sé”, perché “un medico felice instaura una buona relazione con il paziente. Mentre all’Università si insegna troppa tecnologia».
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