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Scompenso cardiaco, rischio aumenta con l’età. Scoperto meccanismo

cuore rosso sullo sfondo di una lavagna con disegno di elettrocardiogramma per dare idea dello scompenso cardiaco
Ricercatori italiani hanno scoperto come inibire il meccanismo responsabile.

Con il passare degli anni aumenta il rischio di scompenso cardiaco. Secondo i risultati di una recente ricerca italiana, la colpa è dell’ipertrofia cardiaca associata. Si tratta di un cambio disfunzionale del metabolismo dell’organo. In altre parole, significa che il cuore rimane senza l’energia necessaria per pompare il sangue a pieno regime.

Lo studio sullo scompenso cardiaco

Lo studio che ha svelato il meccanismo legato all’invecchiamento è stato pubblicato sulla rivista Circulation Research. I ricercatori hanno identificato un interruttore che governa questo cambio di metabolismo e hanno dimostrato che inibendo la sua azione è possibile, almeno negli studi di laboratorio, migliorare la funzionalità del cuore.

La ricerca è stata coordinata da Gianluigi Condorelli, direttore del Cardio Center di Humanitas, responsabile del Laboratorio di Immunologia e Infiammazione nelle Malattie Cardiovascolari e professore ordinario di Humanitas University, in collaborazione con Roberto Papait professore associato all’Università dell’Insubria.

Scompenso cardiaco, se il cuore non ha abbastanza energia

In Italia convivono con lo scompenso cardiaco 600 mila persone. Si tratta di una patologia molto diffusa e invalidante. Il rischio aumenta con l’avanzare dell’età, infatti interessa una persona ogni dieci sopra i 65 anni. Nei paesi industrializzati è la principale causa di disabilità e di morte nelle persone anziane.

Oggi terapie più efficaci

Grazie ai passi avanti della ricerca oggi esistono diverse terapie in grado di rallentare la progressione della malattia. La ricerca di nuove soluzioni terapeutiche più efficaci è una delle principali sfide in cardiologia. “Grazie agli studi condotti negli ultimi vent’anni si è progressivamente compreso che alla base dello scompenso cardiaco c’è un problema di energia”, spiega il prof. Gianluigi Condorelli.  “Il cuore scompensato è un cuore che è rimasto senza carburante. Questo è ancora più rilevante se si pensa che il cuore è uno degli organi più energivori dell’organismo, insieme al cervello e ai muscoli. Per contrarsi in media 60 volte al minuto, irrorando di sangue ogni millimetro del nostro sistema vascolare, ha bisogno di tantissima energia“. Infatti, molti dei farmaci utilizzati per il trattamento dello scompenso cardiaco (come gli ACE-inibitori o i beta-bloccanti) funzionano perché permettono al cuore di risparmiare energia.

I risultati della ricerca 

La ricerca svela uno dei regolatori del bilancio energetico del cuore
Si chiama p300 ed è un cosiddetto potenziatore genico. I potenziatori genici sono dei regolatori del comportamento delle cellule, perché la loro presenza aumenta la probabilità che alcuni geni vengano attivati. Nello specifico, p300 – la cui attività viene intensificata durante l’invecchiamento – altera il metabolismo delle cellule del cuore, simulando una condizione di ridotto apporto di ossigeno alle cellule e spostando il loro fabbisogno energetico sul consumo degli zuccheri. Quest’ultima è una fonte energetica meno efficiente, che lascia il cuore senza l’energia di cui ha bisogno e di conseguenza contribuisce all’insorgere dello scompenso cardiaco. Per mettere alla prova questa ipotesi, i ricercatori hanno provato a spegnere l’azione di p300 tramite un inibitore e hanno ottenuto un parziale recupero della funzionalità cardiaca.

Prospettive future

Sebbene si tratti di uno studio limitato per ora ai modelli di laboratorio della malattia, i risultati ottenuti aprono nuove strade per la ricerca sul trattamento dello scompenso cardiaco. “Oggi conosciamo un tassello in più di questo puzzle complesso. Invecchiando, le cellule del cuore modificano il proprio metabolismo energetico in modo svantaggioso. Questo è il primo passo per sviluppare nuove terapie che riducano il rischio di scompenso cardiaco in anzianità”, afferma il prof. Roberto Papait.

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